17.02.2022

Recensione del libro “Il mare dove non si tocca” di Fabio Genovesi

Analisi e commento del Gruppo di Lettura della Biblioteca Borgo Chiese

Recensione del libro “Il mare dove non si tocca” di Fabio Genovesi

Anzi no, la prima l’ho imparata appena entrato in classe, e cioè che nel mondo esistevano tanti altri bambini della mia età, e questi bambini avevano solo tre o quattro nonni  a testa. Io invece ne avevo una decina. Perché il mio nonno dalla parte di mamma aveva un sacco di fratelli solitari, che non si erano mai sposati e a una donna non avevano mai nemmeno stretto la mano, così da quella famiglia gigante ero venuto fuori solo io, che ero il nipote di tutti. Infatti litigavano sempre per decidere chi mi portava in giro, e quando il nonno è morto è diventato ancora peggio…

A pensarci non è poi così impossibile che un bambino arrivi ad avere otto nonni… perché nelle famiglie allargate può succedere: genitori dei genitori che si separano e trovano nuovi compagni e nuove compagne, ed ecco che il bambino si ritrova coccolato da cinque, sei nonni, e anche di più! Ma l’amore che questi nonni-zii hanno per il loro unico nipote è smisurato, folle e senza freni, e chi abita a Villaggio Mancini come il piccolo Fabio lo sa bene.

Un libro che ha suscitato l’interesse e la discussione del gruppo di lettura: un libro credibile, emozionante nella sua leggerezza e ironia. C’è chi ha pianto, chi si è ritrovato catapultato in alcune situazioni della propria infanzia e chi ha riso fino alle lacrime.

La scuola di vita che prende il sopravvento su quella fatta dietro ai banchi: la curiosità di Fabio che traspare ed erutta come un vulcano mentre legge i manuali per il papà; le esperienze fatte con i nonni-zii che diventano più importanti di mille teorie (e problemi matematici relativi ad allevatori di galline incompetenti!). E’ un romanzo da vivere nella sua totalità, le situazioni a volte paradossali che vengono narrate fanno parte di un sano, sanissimo realismo (chi di noi non ha mai raccontato o ascoltato le stranezze di un vicino o del “matto del villaggio”?).

Lo stile narrativo ha dato il via ad un acceso dibattito: è una scrittura semplice, ma che guarda nel profondo. Ci sono imprudenze grammaticali, è giusto dire che “In scripta omnia licet”? Sì, se a raccontare è un bambino di neanche dieci anni, che scrive quello che passa nella sua testa, che racconta situazioni divertentissime ma di cui lui non ride, che parla della sofferenza senza soffrire, che ha come unico scopo “il raccontare”. A chi? Questo non possiamo dirlo.

Quello che emerge, in tutta questa follia di avventure, è l’amore dato e ricevuto: della mamma che litiga costantemente con la verità, del papà taciturno che parla con le mani mentre aggiustano ogni cosa, di un gelato alla crema mai assaggiato, di cento manuali letti e riletti, di un santo mancato e di un’amica trovata. E’ un villaggio pieno di amore quello dei Mancini, dove nessuno viene abbandonato.

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